sabato 31 luglio 2010

toccare il bordo


finalmente si parte, e poterlo dire in piena recessione si è già tra i fortunati.
quattordici giorni nel tentativo disperato di resettare la stanchezza di un anno.
bilancino? ma sì, vada per il bilancino!
oro e merda, come sempre, su ogni fronte. ma anche tanta consapevolezza in più, tanti libri letti, tanti ikkio, nikkio e sotokaiten nage. tanti sorrisi e tanti incontri. nuova scuola, un saggio in fermento.
ma anche tanta fatica, tanti "stai fermo un giro in prigione" come nel monopoli, tante rabbie inevase, tante cose pensate e molte non dette.
insomma, la vita, o quantomeno ciò che mi barbaglia in superficie e quel che m'agita in profondità.
oggi mi sento come uno che sta per toccare il bordo vasca di una piscina olimpionica. le vasche fatte: ho perso il conto, la fatica nei muscoli è grande, in certe ore insostenibile.
eppure, eppure sento che qualcosa si muove e io so cosa.
è lì, la vedo. è la mia verità, proprio quel che voglio e che camuffo, che sfuoco, che ci giro attorno.
ci sono uomini d'amore e uomini di libertà. forse io appartengo di più ai secondi, anche se la mia libertà getta le radici proprio nel riconoscimento dell'altro, in quanto altro da sè. ergo, immagino, suppongo, spero, ritengo sia amore, addirittura quello più alto, che mentre libera serve, che mentre serve libera.
a presto, a ferragosto o giù di lì.
un bacino ai miei lettori, un bacetto a me.
andrea

martedì 20 luglio 2010

"enso" dunque sono


Chi tra di noi non ha "un progetto" ? Una sorta di carta millimetrata all'interno della quale pazientemente incasellare ambizioni, traguardi, scelte massime e decisioni minime.
Eppure spesso non si arriva a meta, i traguardi ci sfuggono, le mire si traducono in altro. Come se qualcuno o qualcosa ci pilotasse in un altrove che proprio non era previsto.
Talvolta ho l'impressione che molti (me compreso nel prezzo) non s'accorgano di far parte di un disegno più vasto .
Nulla a che fare con l'aldilà: il disegno esige fedeltà alla terra, per dirla con Nietsche,e sta tutto qui, in questo segmento spazio temporale che occupiamo per qualche decennio. L'impressione è la stessa che si prova quando si sa di non aver diligentemente assolto un compito, di aver furbescamente saltato qualche pagina, di aver interrotto un cammino intrapreso e poi abortito da necessità inderogabili o compromesso dalla nostra ignavia e/o accidia.
Spesso il disegno sta di fronte ai nostri occhi e sarà per via del fatto che è troppo vicino che finisce col costringerci a spostare lo sguardo su altri fuochi.
A guidare il disegno è il nostro daimon, quella vocina alla quale spesso il nostro super io fa lo sgambetto.
Spesso osservo con attenzione le vite altrui e mi dico ciò che gli altri si dicono quando osservano la mia: ma come fa a non accorgersi che potrebbe essere felice se solo facesse, dicesse, ecc.
Ieri sera ho mangiato un panino con Aureliano e Kayoko. Ho ascoltato con interesse le riflessioni di Aureliano, i suoi discorsi e l'emozione che mi ha passato ora li ho tradotti in questo post.
Per dire felicità bisogna comprare tutte le vocali , perchè non ne basta mai solo una.

venerdì 16 luglio 2010

la vita è merdavigliosa... (post paratattico)


Oggi :-) una botta di eros : agenzia delle entrate in via bistolfi,5.
Prendo la macchina intorno ale 9.00, fa già caldo, imbuco la tangenziale est e mi trovo davanti un muro di camions (con la s del plurale, perchè ce ne erano tantissimi). Esco in rubattino, ma chi era sto rubattino, un amico di craxi? e cerco via bistolfi che sta dalle parti di trentacoste.
Sono nella terra di nessuno, where the strets have no name. Trovo l'indicazione e posteggio al sole. I numerini li hanno distribuiti tutti intorno alle 8 e ora io sono fuori lista ma non desisto. Attendo dalle 9,30 circa alle 13,40e provo tutte le emozioni che è dato provare nel corso di una vita: attesa virile e consapevole, attesa indifferente, attesa insofferente, quieta rassegnazione, turbata rassegnazione, rabbia, rabbia funesta striata di propositi omicida. All'una saltano i terminali, quando arrivo davanti all'impiegato mi scuso prima con teresa d'avila con la quale stavo chattando da un quarto d'ora ostaggio del mio delirio. Mi stava spiegando come fare per ottenere le stigmate o quantomeno un paio di ali malandate, e mi sembrava un discorso interessante. L'impiegato mi dice che sta chiudendo, lo guardo like a merdaccia, ma anche come una specie di illuminato guru al quale chiedere che senso ha la vita.
Mi visiona le carte e mi comunica che dovrò ritirare l'atto vidimato a partire da lunedì 19. Mi giro per chiedere forza a Santa Teresa ma non c'è più: ha strisciato il badge ed è in pausa pranzo anche lei. Mi rigiro verso l'impiegato, quasi quasi gli faccio un kiritzuke con la mia lingua katana, poi lascio perdere, mi fa pena anche lui.
Esco: il caldo si avvicina ai 40°, entro il macchina, accendo il quadro che segna 43°: ho un mancamento, ma non in tutto il corpo, solo le palle che slittano e s'arrestano all'altezza dello stinco. Attraverso la città col sole allo zenith.
Arrivo in trattoria alle 14.00. Mi siedo al tavolo e ordino linguine al pesto, tanto per rimanere leggerino. Mi guardo intorno e c'è un signore che somiglia un casino all'angelo Clarence del film di Frank Capra del 1946.
Ha i capelli bianchi come la neve e un sorriso benevolo. Forse Dio esiste, per certo
dirige l'agenzia delle entrate di via bistolfi.

mercoledì 14 luglio 2010

la lingua più affilata del mondo


ma sì, va, lo dico! che ho la lingua più affilata di una katana, ma che uso come fosse un coltellino sbuccia mele.
perchè lo faccio? per il semplice fatto che in quasi cinque decenni di vita ho coltivato la benevolenza nei confronti di chi amo o solo frequento. rare volte e con pochissime persone mi è capitato di usare la mia dialettica fino in fondo. rimango sempre affascinato dal racconto che l'altro fa di se stesso e/o del sottoscritto, anche quando non risponde al vero, o a malapena vi si avvicina.
c'è sempre qualcosa che mi intriga nel sentirmi detto e nel sentire l'altro che si dice. forse è proprio il racconto, perchè ogni racconto è una specie di camino accesso nella camera più accogliente della nostra anima.
sto ad ascoltare: mi piace, amo da morire ascoltare. mi piace rubacchiare frasi, spunti, riflessioni che mi paiono inedite. mi piace nutrirmi della diversa sensibilità e non mi sento mai deprivato, mai scalzato.
è come se alla mia tavola un posto fosse sempre vuoto e andasse colmato col racconto delle vite altrui.
ritrovo questa gioia nel costruire trame, nell'immaginare la vita altrui come se fosse la mia e nel trattare la mia come fosse quella di un altro. così sono costretto a cercare nuovi baricentri esistenziali, ad immaginarmi a spasso in una vita che con la mia poco o nulla ha a che fare.
per questo taccio e assai di rado faccio notare all'altro lacune e ombre. perchè mi piacciono anche quelle e trovo siano sacre proprio come le parti che invece vanno bene, quelle che pensiamo siano accettabili.
se dovessi scegliere la damigella d'onore del silenzio, sceglierei il racconto delle nostre vite. mi sembrerebbe una scelta ok, davvero ineccepibile.
ogni racconto pesca lì, in quel pozzo senza fine che chiamiamo silenzio. le parole sono secchi di acqua issati in superficie e sempre più spesso mi pare vogliano tornare proprio lì. dove il nero rende tutto indistinto, dove ogni rumore si spegne e da dove tutto parte per nutrirsi della luce dei giorni.

sabato 3 luglio 2010

I miei libri


Col passare degli anni il numero dei libri che posseggo è aumentato. Vivessi in un monolocale non saprei dove metterli. Parecchi finirebbero in cantina o solaio e di notte mi dovrei tappare le orecchie per non sentirli mugolare, lamentarsi.
Perchè i libri hanno una voce, antica e attuale, forte e bassissima.
A volte li passo in rassegna come un generale stanco: vorrei conoscerli tutti, nome e cognome, sapere da dove vengono, ricordarmi le loro storie individuali. Molti li ho conosciuti e tra costoro della maggior parte ho dimenticato "chi fuor li maggior tuoi?". Parecchi, un buon 50%, ancora devo conoscerli, addentrarmi nelle loro pagine, seguire rigo per rigo la loro storia.
Quando ero più giovane speravo di trovarvi tesori, pagliuzze d'oro; ora scambio con loro, un baratto fitto, che avviene nel silenzio delle pareti domestiche, nelle aule scolastiche, nei giardini che danno ombra e pace.
Nei miei libri ho trovato sparsi pezzi di me, proprio come se Dioniso dovesse mettere insieme le sue membra sbranate dalle Menadi.
In fondo so cosa sto cercando: fuori di me cerco il mio più autentico "me" e dentro di me cerco ciò che fuori non trovo.
Vorrei sapere leggere velocemente e allora divorerei centinaia di libri, proprio come un lampo mi arresterei solo sulle parti in cui trovo scritto qualcosa che non so, che non ho ancora capito.
A volte, infatti, capita di annoiarmi, di leggere in fondo sempre le stesse identiche cose, che ho da tempo metabolizzato.
Vorrei leggere tutto e sapere tutto, vorrei ricordare tutto e scrivere infine il più bel libro del mondo: un libro nel quale mettere stralci di dante, di carver, di canetti, della woolf e di conan doyle che leggevo quaindicenne, e poi pezzi di marai, di calvino per il suo cuore geometrico, la durezza di levi, il luame di meneghello e la lista è tanto numerosa che desisto.
Ne uscirebbe un libercolo smilzo, qualche decina di pagine, non di più. E in queste pagine ci sarebbe stipata dentro la magia del libro-mondo e del mondo-libro.
I miei libri sono la coperta che mi tiro sulle gambe quando fuori apparecchia l'inverno, i miei libri sono l'ultimo cucchiaino di nutella che spalmo su una fetta troppo grande. Alcuni li ho anche detestati, altri mi sono sembrati buffi, ma ho dialogato con tutti loro, nessuno escluso.
Solo chi legge sa cosa vuol dire concludere una storia, arrivare alla fine: solo chi legge sa cosa si prova ad iniziarla, a sentire che le pagine ancora sono adese, quasi appiccicate, che la carta ha un suo odore prelibato, che la copertina è come un viso di una persona che incontriamo sui mezzi pubblici e alla quale vorremmo chiedere: dai, raccontami la tua storia, fammici entrare.
Il mio libro più bello lo devo ancora leggere. In tutta sincerità vorrei scriverlo io, per dopo rileggerlo e sentire che la mia identità si sfarina sui fogli per ricomporsi nella mia anima, per sentire che quei fogli contengono le mie parti più vere, che sono quelle in cui io sto defilato, in una angolo, acquattato dietro un mio personaggio.
Vorrei essere lo scricchiolio della sua scarpa che si trascina sul linoleum, vorrei essere la voluta di fumo che sprigiona la sua sigaretta. Vorrei coriandolizzarmi in tutti i miei personaggi, nei luoghi che attraversano, nelle vicende che vivono.
Dovessi sceglierne uno, solo un libro da portare sopra un'isola deserta, credo potrebbe essere Dante. Ma poi rimpiangerei d'aver lasciato a casa Omero e Pinocchio, di aver tradito Sharazad, di aver tirato un pacco a quel tira e molla di Zeno Cosini, di aver chiuso quel portone lasciato aperto affinché Montale potesse scrivere i Limoni. Di non aver portato con me le poesie della Szymborska o di Antonia Pozzi o i fantastici giochi linguistici di Benni o del padre della Maraini, Fosco.
I miei libri sono anche lacrime, perché nelle vite dei personaggi incontrati non solo rivedo la vita che ho vissuto ma quella che avrei voluto vivere, avrei desiderato vivere.
I libri sono solo carta, servono per tenere aperte le porte, per fare una pila ed issarsi, per farne aeroplanini o bussolotti.
I libri non sono sacri, sacro è l'uomo che li scrive e quello che li legge.
I libri sono dei magnifici direttori di orchestra: dirigono i nostri strumenti interiori e ci dicono se siamo dei primi violini o dei suonatori di terza fila.
Le vocali servono alle consonanti per uscire dal caos e dare origine alle parole.
Tutti noi dentro abbiamo delle vocali: i libri fanno eco alle nostre vocali.
Cuore ad esempio ne ha dentro tre. Vita solo due, ma tanto basta.