martedì 21 dicembre 2010

finis terrae


perfettamente impilati, su uno scaffale al centro della libreria di mio padre, i pochi libri che ho scritto a partire dal 2003. una sorta di post it dell'orgoglio paterno. li ho visti e ho sorriso dentro, non solo per via dell'orgoglio, ma perchè tempus fugit.
il post it sotto forma di libri sembra essere importante e per certi versi lo è, ma è davvero nulla, una specie di cerottino su una ferita che solo in casi rarissimi ci è dato colmare.
è quel "reo tempo" di cui scrive foscolo e together tutte le torme delle cure onde meco egli si strugge. quel che oggi ci pare abbia un (s)enso, in realtà è un granello di sabbia al cospetto delle dune dell'eternità.
al tempo non si sfugge e tutti i ninnoli, tutte le testimonianze tangibili alle quali ci aggrappiamo a nulla valgono.
niente si sottrae all'oblio, tutto, impercettibilmente, repentinamente, vi sprofonda.
così sarà pure per i miei libretti, per i dischi che ho cercato con tanto amore a novegro, per i pochi vasi di pregio che ho comprato negli anni.
la carta ammuffirà, le copertine rigide faranno le bolle e i fogli si squaderneranno, i dischi diverranno inascoltabili e già non li ascolto più.
suvvia lettore, non rattristarti.
dovresti sentire la tristezza solo se pensassi di durare, ma solo i cretini pensano in cuor loro che il mondo si dileguerà con la loro dipartita, perciò - nella logica del discorso - è assai remota la possibilità che un cretino possa farsi rattristare dai pensieri di finis terrae.
anche io sono un po' cretino e pensare che tutto finirà, che le cose alle quali tengo si sbriciolerannno non mi dilania.
in quel che faccio ci metto cura, passione, dedizione e tanto basta. non voglio perdurare, voglio solo sentire la vita. non voglio essere ricordato, ma voglio ricordarmi di avere vissuto.
detto inter nos, un po' mi sta sulle palle pensare che in paradiso e/o altrove non si possa portare neppure un bagaglio a mano.
dentro ci metterei la commedia di dante, l'iliade e l'odissea, niente libri sacri tanto sarò attorniato dal sacro. magari ci infilo pinocchio, o il signore degli anelli per quando mi annoierò di tantà serenità, felicità e gioia. nel bagaglio a mano vorrei mettere dentro i sorrisi che ho ricevuto e quelli che ho rivolto, tutti perfettamente piegati, come olezzosi fazzoletti di damina.

mercoledì 1 dicembre 2010

Candido... ma non di voltaire


Parola d'ordine : candore. Solo il candore spezza le ossa all'ipocrisia, al calcolo, alla corta gittata di molti nostri pensieri e azioni.
Il candore l'ho incontrato rare volte nella mia vita. Credo sia un dono, un po' come aver fede, oppure sputare molto distante, fare la caccona con regolarità, usando al massimo due strappi di carta igienica.
Il Candido è come Mister Magoo, si muove tra muri pericolanti, buche e trappole, conservandosi vergine in un mondo di pigliaedainculo.
Io non lo sono, a volte magari pecco di ingenuità, che è la prima release del candore, una specie di candore pieno di bugs, di troyans, di malware, di caccole informatiche.
L'altro giorno mi è stato detto che vedo il buono nella gente. Ho lasciato transitare questa riflemozione e ci ho pensato sopra. Ma sì, dai, un po' è vero, altrimenti non mi sarei scelto 'sto lavoro da Sigfrid Von Nibelunghen (vedi > Sturmtruppen) che mi sono scelto. Nella versione beta del candore, ossia l'ingenuità, è implementata una certa coglioneria che sarebbe davvero un peccato conservare tutta per sè. Il buono lo vedo, ma vedo pure il cattivo. Sul cattivo mi astengo perchè non mi spaventa. Il buono lo annaffio con una certa frequenza, perchè richiede cura e gratuità.
Il cattivo non lo temo per via del fatto che di solito la furbizia, la malizia, il retrogusto di certe parole sono come la catena del cane che sta attaccato alla cuccia della stupidità.
Il candido non è uno sprovveduto, anzi spesso è un uomo molto intelligente, un vincente. Diciamo che nella favola di Esopo farebbe la parte dell'uva e non quella della volpe. Il cretino sta sotto e fa la volpe e pensa di fottere l'ingenuo. Si sente leone: lupus stabat superior.
Una cosa è certa: ha calcolato male la pendenza del ruscello, perchè il candido si sottrae allo sbranamento facendosi guardare negli occhioni. Lì si riflette la tua immagine, quella della volpe che spicca il salto e non ce la fa. Nei tuoi si specchia la sua, quella di uno che non ha neppure bisogno di essere ingenuo, perchè sta un passo avanti, che non è quello del successo, del denaro, dell'apparire, ma che è quello dell'essere senza la fatica di essere, senza vedersi vivere per dirsi che si vive.