lunedì 30 aprile 2012

i tempi cambiano

sintonizzato su La7, seguo Gad Lerner. bravo, molto bravo, mi ricorda un po' la capretta di saba, il cui verso è emblema del dolore che accompagna la nostra esistenza. di dolore ne abbiamo le tasche piene. è - pare essere - l'unica e la più radicale - premessa e sostanza della nostra vita. eppure qualcosa sta cambiando, in mezzo a mille mugugni : il nostro paese sta faticosamente risollevandosi, un pochino alla volta, quasi impercettibilmente. questo governo, nel bene e nel male, può vantare la patente di governo. ricordiamo da dove veniamo: dalla landa desolata e desertificata di un'Italia resettata da 30 anni di televisione commerciale, di televisione pugno nello stomaco, così se ti spavento non ti permetto di capire. la pacatezza torna timidamente a fare capolino, qualcosa di nuovo si intravede. il nuovo è il bene comune, proprio quella cosa lì, cioè il motivo per il quale Aristotele e Platone hanno fondato l'idea di politica. il bene comune significa arretrare di un passo, non invadere lo spazio altrui, proprio come si fa nei bus quando è stracolmo di gente. ci si assesta, malvolentieri ci si assesta.l'occasione è buona per scambiare due chiacchiere, per sentire l'odore dell'altro, la sua puzza, i suoi occhi pieni di rabbia, di gioia, di noia. il bene comune non va d'accordo col dolore metronomo. questo bene si nutre dell'illusione di essere utile a tutti e non solo a me e a pochi altri. sento la gente lamentarsi, i politici starnazzare, i giornalisti fare eco al lamento. ma tanto lamento nasconde solo la non volontà di procedere oltre, di immaginare qualcosa di nuovo che tradisca il vecchio, che lo metta definitivamente fuori uso. il lamento serve a non voler prendere coscienza che il mio bene è tale solo quando lo condivido. proprio come le idee buone che uno ha. se è buona - me l'ha ricordato in "attraversare la cura" Laura Formenti - è bello condividerla. lei, a sua volta, lo ha imparato da qualche suo maestro, forse Bateson, forse Maturana. la voce del lamento è sì quella della capra agganciata ad un paletto di legno ben confitto al suolo. togliere il paletto significa restituire alla capretta in questione la possibilità di esplorare altri spazi, di entrare in contatto con alrtri animali, di costruire qualcosa di nuovo che non sappia solo di dubbio, di critica aspra, sempre o quasi sempre strumentale. purtroppo le destre si sono impadronite dell'ottimismo, e i ristoranti perciò sono pieni anche quando lo spread schizza oltre la soglia dei 500 punti. eppure essere ottimisti significa anzitutto aver voglia di smentire il vecchio. qui il vecchio è una certo modo di intendere la vita, un modo che somiglia parecchio assai al lamento poco strutturato della beghina che va in chiesa a raccogliere punti-preghiera per il paradiso. l'ottismo fedele alla terra è altra cosa. passa attraverso l'assunzione di responsabilità individuali e la percezione che queste stanno "nel mezzo", ossia in una società che ìn quanto tale mi dice chi sono, fin dove mi posso spingere, cosa posso e non posso fare per dare il mio contributo al bene comune e non solo al mio bene. no, non siamo pixel che compongono immagini, siamo semmai pennellate brevi e larghe che si mischiamo, come faceva van gogh. siamo uno accanto all'altro, responsabili della nostra vicenda individuale ma anche di quella altrui. c'è un non detto che mi scoccia dire, ma che qui, di getto, faccio passare travestito da ironia. bisognerebbe fare quello che ci ha consigliato Comenio quattro secoli fa, cioè non smettere mai di andare a scuola, ossia di imparare. al posto di fare le riunioni di condominio in cui uno prova sulla propria pelle il versetto del manzoni : l'un contro l'latro armato, perchè non utilizzare i condomini per spiegare alla gente che il voto non si dà sulla base della simpatia che il candidato ispira o sul suo abbigliamento, o sulla cravatta che indossa per la diretta televisiva. il danno maggiore - l'unico danno - della democrazia è dare l'illusione della scelta.(senza contare il vantaggio accessorio, ossia dare lavoro a migliaia di laureati in scienze politiche che nella vita fanno tutt'altro !) a casa mia le scelte sono consapevoli, mosse dal giudizio. e il giudizio lo formulo in base ai dati di cui dispongo, delle informazioni raccolte, dei concetti appresi a volte faticosamente. ma al cittadino si offre a prezzo stracciato, quick and play, il miraggio di votare consapevolmente. purtroppo non è così. il voto consapevole è come il saggio di fine corso, una specie di olimpiade della democrazia, dove ogni singolo cittadino è chiamato ad esibirsi con l'asta del salto in alto. solo che quall'asta è la matita che ci viene consegnata prima di entrare in cabina. e i politici ? questi signori dovrebbero affrontare un iter non dissimile da quello dei medici. cinque anni di dottrine politiche e altri quattro di tirocinio nei luoghi di emarginazione, di degrado. una politica omeopatica: provo dolore così dopo lo so togliere. così evitiamo di ascoltare parlamentari che fuori da montecitorio non sanno nemmeno la storia che viene appresa alle medie inferiori. ma io sono solo un piccolo stronzetto e non conto nulla. scrivo su sto blog che (forse) è letto da quattro gatti, ma stasera mi andava di dirlo come l'ho detto, anzi come l'ho scritto. il lamento della capra si affievolirà solo quando la smetteranno di farci credere che la vita sia solo dolore o sia solo easy, friendly to use. io quando vado al super non guardo solo ad altezza occhio dove appositamente vengono sistemati i prodotti che molti, moltissimi compreranno. se voglio risparmiare rovisto in basso, mi inginocchio. se voglio regalarmi qualcosa di buono mi metto sulle punte e allungo le braccia. mentre faccio questi esercizi la capretta tace, perchè non c'è un cazzo da lamentarsi, c'è da rimboccarsi le maniche però stavolta con un mezzo sorriso e non con un'iperegotica smorfia di dolore.