domenica 17 ottobre 2010

IO SONO, IO FUI, IO SARO'


Giovedì, quinta ora, seconda superiore: mi tocca spiegare grammatica e proprio non ne ho voglia. Entro in classe e trovo il mio unico studente cinese intento a leggere avidamente il suo vocabolario italo-cinese, più o meno come un beduino alla fonte. Gli chiedo: "hai il libro di grammatica?" . Mi risponde che non l'ha e che se lo farà prestare da una sua compagna. "Aprilo", gli chiedo cortesemente. "Mi dici se in cinese esiste il congiuntivo?". A quanto pare esiste, ed esiste anche il nostro condizionale e tutti i tempi all'indicativo.
"Ti scoccerebbe andare alla lavagna e scrivermi io sono nella tua lingua?". E lui diligentemente esegue. fa lo stesso col passato e col futuro.
Sulla superficie levigata della lavagna si addensano i segni della sua lingua. Poi chiedo lo stesso ad una mia studentessa rumena, indi ad una studentessa lettone e a una polacca.
Sulla lavagna io sono, io sarò, io sono stato e io fui in tante lingue. anche in spagnolo e in inglese. Ho una studentessa nigeriana che non sa la sua lingua perchè la nonna le parlava in inglese, la lingua dei colonizzatori.
Io vorrei scrivere in quella di mio padre, l'albanese, quello arcaico che si parla nei paesini del nostro meridione, ma non so una parola. So solo dire te dua mire, che significa ti voglio bene. E non ricordo neppure il latino, ma non riesco a dimenticare: nemo propheta in patria.
Mi sono sentito come gli Illuministi del Settecento, un petit Voltaire di Cinisello Balsamo. Mi sono anche sentito straniero tra le pareti di casa. Mi sono sentito felice perchè ho visto il sorriso negli occhi dei miei ragazzi.
Una di queste, Jennifer con la J, alla fine della lezione, passandomi accanto come un battito d'ali mi ha detto sottovoce: Prof, oggi la sua lezione di grammatica mi è piaciuta un casino.
Per tutto il resto c'è Master Card!

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