sabato 3 luglio 2010
I miei libri
Col passare degli anni il numero dei libri che posseggo è aumentato. Vivessi in un monolocale non saprei dove metterli. Parecchi finirebbero in cantina o solaio e di notte mi dovrei tappare le orecchie per non sentirli mugolare, lamentarsi.
Perchè i libri hanno una voce, antica e attuale, forte e bassissima.
A volte li passo in rassegna come un generale stanco: vorrei conoscerli tutti, nome e cognome, sapere da dove vengono, ricordarmi le loro storie individuali. Molti li ho conosciuti e tra costoro della maggior parte ho dimenticato "chi fuor li maggior tuoi?". Parecchi, un buon 50%, ancora devo conoscerli, addentrarmi nelle loro pagine, seguire rigo per rigo la loro storia.
Quando ero più giovane speravo di trovarvi tesori, pagliuzze d'oro; ora scambio con loro, un baratto fitto, che avviene nel silenzio delle pareti domestiche, nelle aule scolastiche, nei giardini che danno ombra e pace.
Nei miei libri ho trovato sparsi pezzi di me, proprio come se Dioniso dovesse mettere insieme le sue membra sbranate dalle Menadi.
In fondo so cosa sto cercando: fuori di me cerco il mio più autentico "me" e dentro di me cerco ciò che fuori non trovo.
Vorrei sapere leggere velocemente e allora divorerei centinaia di libri, proprio come un lampo mi arresterei solo sulle parti in cui trovo scritto qualcosa che non so, che non ho ancora capito.
A volte, infatti, capita di annoiarmi, di leggere in fondo sempre le stesse identiche cose, che ho da tempo metabolizzato.
Vorrei leggere tutto e sapere tutto, vorrei ricordare tutto e scrivere infine il più bel libro del mondo: un libro nel quale mettere stralci di dante, di carver, di canetti, della woolf e di conan doyle che leggevo quaindicenne, e poi pezzi di marai, di calvino per il suo cuore geometrico, la durezza di levi, il luame di meneghello e la lista è tanto numerosa che desisto.
Ne uscirebbe un libercolo smilzo, qualche decina di pagine, non di più. E in queste pagine ci sarebbe stipata dentro la magia del libro-mondo e del mondo-libro.
I miei libri sono la coperta che mi tiro sulle gambe quando fuori apparecchia l'inverno, i miei libri sono l'ultimo cucchiaino di nutella che spalmo su una fetta troppo grande. Alcuni li ho anche detestati, altri mi sono sembrati buffi, ma ho dialogato con tutti loro, nessuno escluso.
Solo chi legge sa cosa vuol dire concludere una storia, arrivare alla fine: solo chi legge sa cosa si prova ad iniziarla, a sentire che le pagine ancora sono adese, quasi appiccicate, che la carta ha un suo odore prelibato, che la copertina è come un viso di una persona che incontriamo sui mezzi pubblici e alla quale vorremmo chiedere: dai, raccontami la tua storia, fammici entrare.
Il mio libro più bello lo devo ancora leggere. In tutta sincerità vorrei scriverlo io, per dopo rileggerlo e sentire che la mia identità si sfarina sui fogli per ricomporsi nella mia anima, per sentire che quei fogli contengono le mie parti più vere, che sono quelle in cui io sto defilato, in una angolo, acquattato dietro un mio personaggio.
Vorrei essere lo scricchiolio della sua scarpa che si trascina sul linoleum, vorrei essere la voluta di fumo che sprigiona la sua sigaretta. Vorrei coriandolizzarmi in tutti i miei personaggi, nei luoghi che attraversano, nelle vicende che vivono.
Dovessi sceglierne uno, solo un libro da portare sopra un'isola deserta, credo potrebbe essere Dante. Ma poi rimpiangerei d'aver lasciato a casa Omero e Pinocchio, di aver tradito Sharazad, di aver tirato un pacco a quel tira e molla di Zeno Cosini, di aver chiuso quel portone lasciato aperto affinché Montale potesse scrivere i Limoni. Di non aver portato con me le poesie della Szymborska o di Antonia Pozzi o i fantastici giochi linguistici di Benni o del padre della Maraini, Fosco.
I miei libri sono anche lacrime, perché nelle vite dei personaggi incontrati non solo rivedo la vita che ho vissuto ma quella che avrei voluto vivere, avrei desiderato vivere.
I libri sono solo carta, servono per tenere aperte le porte, per fare una pila ed issarsi, per farne aeroplanini o bussolotti.
I libri non sono sacri, sacro è l'uomo che li scrive e quello che li legge.
I libri sono dei magnifici direttori di orchestra: dirigono i nostri strumenti interiori e ci dicono se siamo dei primi violini o dei suonatori di terza fila.
Le vocali servono alle consonanti per uscire dal caos e dare origine alle parole.
Tutti noi dentro abbiamo delle vocali: i libri fanno eco alle nostre vocali.
Cuore ad esempio ne ha dentro tre. Vita solo due, ma tanto basta.
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