mercoledì 24 novembre 2010

un segreto


stavo correggendo come al solito una pila di compiti sgrammaticati, mentre mio padre e mia madre erano in cameretta. sentivo lui parlare fitto, con voce chiara come chi legge qualcosa. mi alzo, mi avvicino alla porta e porgo l'orecchio.
papà sta leggendo un articolo a mia madre. lei è distesa a letto, le gira un po' la testa ed è fasciata in una coperta di lana.
la osservo: non sta seguendo il filo del discorso, non credo nemmeno le interessi. si lascia cullare dal suono delle parole.
credo che se fosse stata la lista della spesa nulla sarebbe cambiato nell'espressione assorta del suo viso.
si fa presto a dire come un bambino. non so, non ne sono certo.
c'è una no flying zone dentro di noi che spesso inconsapevolmente usiamo quando ascoltiamo la musica targata usa o uk. non capiamo le parole, quantomeno non tutte, epppure ci innamoriamo di quel pezzo. talvolta passano anni prima che ci si dia la briga di cercare una traduzione in rete.
questo genere di emozione assomiglia ad un colore primario, uno di quelli - il blu, il giallo o il rosso - che opportunamente mescolati danno vita ad altri colori, a tutti gli altri colori.
molto di ciò che facciamo, di quel che pensiamo assume un valore consolatorio, è una sorta di inseparabile ciucciotto, o , alla winnicott, un oggetto transizionale.
disperde le ombre, vanifica il buio, ci offre la fugace sensazione di non essere soli, che qualcuno ci dia la mano, ci tenga la mano, ci osservi mentre traversiamo il guado.
la magia del quotidano aleggia e non si disperde, il suono consola, la penombra avvolge, il senso delle parole si dilegua di fronte all'eufonia. niente di più, nulla di meno.
sul fondo riposa una malinconia stanca, imputabile al tempo che fugge alla moviola.

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