martedì 21 dicembre 2010
finis terrae
perfettamente impilati, su uno scaffale al centro della libreria di mio padre, i pochi libri che ho scritto a partire dal 2003. una sorta di post it dell'orgoglio paterno. li ho visti e ho sorriso dentro, non solo per via dell'orgoglio, ma perchè tempus fugit.
il post it sotto forma di libri sembra essere importante e per certi versi lo è, ma è davvero nulla, una specie di cerottino su una ferita che solo in casi rarissimi ci è dato colmare.
è quel "reo tempo" di cui scrive foscolo e together tutte le torme delle cure onde meco egli si strugge. quel che oggi ci pare abbia un (s)enso, in realtà è un granello di sabbia al cospetto delle dune dell'eternità.
al tempo non si sfugge e tutti i ninnoli, tutte le testimonianze tangibili alle quali ci aggrappiamo a nulla valgono.
niente si sottrae all'oblio, tutto, impercettibilmente, repentinamente, vi sprofonda.
così sarà pure per i miei libretti, per i dischi che ho cercato con tanto amore a novegro, per i pochi vasi di pregio che ho comprato negli anni.
la carta ammuffirà, le copertine rigide faranno le bolle e i fogli si squaderneranno, i dischi diverranno inascoltabili e già non li ascolto più.
suvvia lettore, non rattristarti.
dovresti sentire la tristezza solo se pensassi di durare, ma solo i cretini pensano in cuor loro che il mondo si dileguerà con la loro dipartita, perciò - nella logica del discorso - è assai remota la possibilità che un cretino possa farsi rattristare dai pensieri di finis terrae.
anche io sono un po' cretino e pensare che tutto finirà, che le cose alle quali tengo si sbriciolerannno non mi dilania.
in quel che faccio ci metto cura, passione, dedizione e tanto basta. non voglio perdurare, voglio solo sentire la vita. non voglio essere ricordato, ma voglio ricordarmi di avere vissuto.
detto inter nos, un po' mi sta sulle palle pensare che in paradiso e/o altrove non si possa portare neppure un bagaglio a mano.
dentro ci metterei la commedia di dante, l'iliade e l'odissea, niente libri sacri tanto sarò attorniato dal sacro. magari ci infilo pinocchio, o il signore degli anelli per quando mi annoierò di tantà serenità, felicità e gioia. nel bagaglio a mano vorrei mettere dentro i sorrisi che ho ricevuto e quelli che ho rivolto, tutti perfettamente piegati, come olezzosi fazzoletti di damina.
mercoledì 1 dicembre 2010
Candido... ma non di voltaire
Parola d'ordine : candore. Solo il candore spezza le ossa all'ipocrisia, al calcolo, alla corta gittata di molti nostri pensieri e azioni.
Il candore l'ho incontrato rare volte nella mia vita. Credo sia un dono, un po' come aver fede, oppure sputare molto distante, fare la caccona con regolarità, usando al massimo due strappi di carta igienica.
Il Candido è come Mister Magoo, si muove tra muri pericolanti, buche e trappole, conservandosi vergine in un mondo di pigliaedainculo.
Io non lo sono, a volte magari pecco di ingenuità, che è la prima release del candore, una specie di candore pieno di bugs, di troyans, di malware, di caccole informatiche.
L'altro giorno mi è stato detto che vedo il buono nella gente. Ho lasciato transitare questa riflemozione e ci ho pensato sopra. Ma sì, dai, un po' è vero, altrimenti non mi sarei scelto 'sto lavoro da Sigfrid Von Nibelunghen (vedi > Sturmtruppen) che mi sono scelto. Nella versione beta del candore, ossia l'ingenuità, è implementata una certa coglioneria che sarebbe davvero un peccato conservare tutta per sè. Il buono lo vedo, ma vedo pure il cattivo. Sul cattivo mi astengo perchè non mi spaventa. Il buono lo annaffio con una certa frequenza, perchè richiede cura e gratuità.
Il cattivo non lo temo per via del fatto che di solito la furbizia, la malizia, il retrogusto di certe parole sono come la catena del cane che sta attaccato alla cuccia della stupidità.
Il candido non è uno sprovveduto, anzi spesso è un uomo molto intelligente, un vincente. Diciamo che nella favola di Esopo farebbe la parte dell'uva e non quella della volpe. Il cretino sta sotto e fa la volpe e pensa di fottere l'ingenuo. Si sente leone: lupus stabat superior.
Una cosa è certa: ha calcolato male la pendenza del ruscello, perchè il candido si sottrae allo sbranamento facendosi guardare negli occhioni. Lì si riflette la tua immagine, quella della volpe che spicca il salto e non ce la fa. Nei tuoi si specchia la sua, quella di uno che non ha neppure bisogno di essere ingenuo, perchè sta un passo avanti, che non è quello del successo, del denaro, dell'apparire, ma che è quello dell'essere senza la fatica di essere, senza vedersi vivere per dirsi che si vive.
mercoledì 24 novembre 2010
un segreto
stavo correggendo come al solito una pila di compiti sgrammaticati, mentre mio padre e mia madre erano in cameretta. sentivo lui parlare fitto, con voce chiara come chi legge qualcosa. mi alzo, mi avvicino alla porta e porgo l'orecchio.
papà sta leggendo un articolo a mia madre. lei è distesa a letto, le gira un po' la testa ed è fasciata in una coperta di lana.
la osservo: non sta seguendo il filo del discorso, non credo nemmeno le interessi. si lascia cullare dal suono delle parole.
credo che se fosse stata la lista della spesa nulla sarebbe cambiato nell'espressione assorta del suo viso.
si fa presto a dire come un bambino. non so, non ne sono certo.
c'è una no flying zone dentro di noi che spesso inconsapevolmente usiamo quando ascoltiamo la musica targata usa o uk. non capiamo le parole, quantomeno non tutte, epppure ci innamoriamo di quel pezzo. talvolta passano anni prima che ci si dia la briga di cercare una traduzione in rete.
questo genere di emozione assomiglia ad un colore primario, uno di quelli - il blu, il giallo o il rosso - che opportunamente mescolati danno vita ad altri colori, a tutti gli altri colori.
molto di ciò che facciamo, di quel che pensiamo assume un valore consolatorio, è una sorta di inseparabile ciucciotto, o , alla winnicott, un oggetto transizionale.
disperde le ombre, vanifica il buio, ci offre la fugace sensazione di non essere soli, che qualcuno ci dia la mano, ci tenga la mano, ci osservi mentre traversiamo il guado.
la magia del quotidano aleggia e non si disperde, il suono consola, la penombra avvolge, il senso delle parole si dilegua di fronte all'eufonia. niente di più, nulla di meno.
sul fondo riposa una malinconia stanca, imputabile al tempo che fugge alla moviola.
venerdì 19 novembre 2010
in cortile
in cortile, durante la pausa delle quattro assegnata ai miei studenti, pensavo a quanto aveva appena terminato di dire e riflettevo sulla fatica che si fa ad apprendere. è una fatica bella, feconda, una delle poche degna di essere vissuta. capire significa aprire una breccia nel muro, aprire una finestrella, scrutare oltre.
pensavo pure alla fine che faranno le parole dette e quelle scritte. molte, moltissime saranno dimenticate, altre saranno trattenute sotto forma di appunti, dispense che finiranno con l'ingallire in qualche solaio. altre, peggio ancora, diventeranno i nostri sgualciti leit-motiv, le nostre (obsolete e sempre inadeguate) stelline polari
i libri saranno venduti per comprarne di nuovi, solo pochi saranno conservati. dei volti dei prof, dei mentori, uno o poco più finirà impigliato nella memoria.
e le grandi idee saranno barattate per un lavoro mediocre, per una busta paga che farà agitare le ali senza mai consentire di spiccare il volo sopra la sozzura del mondo. perchè a questo servono i soldi: fuggire la volgarità, abbracciare l'oblio, dimenticare la fatica.
quel che dico sarà giusto? ha un valore quel che trasmetto? è giusto o è sbagliato? chissà..
non so neppure io, credo sia giusto.
sono valori che affondano nel mio sentimento di libertà, nell'idea di libertà. quella che si confronta col limite, quella che sposta un centimetro al giorno la linea dei nostri orizzonti.
non so se sia giusto perchè non so neppure se abbia un senso.
più vado avanti e più credo che un senso l'abbiano quelle poche azioni e pensieri che non si affannano a cercare un senso, che l'hanno incistato, che non chiedono altro.
avrò mai il coraggio di dire. "guarda, non so se sia giusto, perchè forse ciò che ti sto dicendo non ha un senso. siamo noi che lo attribuiamo e mai viceversa".
far l'amore ha un senso, questo sì. ma non per l'atto in sè, ma per quella piccola e insperata fortuna supplettiva che porta con sè. dura poco il piacere, quel tanto che basta per non ragionare sulla vita ma per viverla.
anche bere, mangiare, lavarsi, stare al sole, leggere un buon libro sono "cose buone e giuste", se non fosse che nel contempo si pensa.
si pensa sempre anche quando sarebbe meglio sospendere il pensiero, si pensa sul pensiero, si pensa nel pensiero e mai al di fuori. si pensa fino allo sfinimento, si pensa a come dirlo, quando dirlo, perchè dirlo.
è come il ronzio del nostro frigorifero: non cessa mai. servirà forse a conservare meglio il fango e i diamanti riposti nella nostra anima?
non so, proprio non so.
mi verrebbe da chiosare socrate: non solo so di non sapere, ma so pure che tutto il sapere che so non spegnerà mai una stella e neppure muoverà un grano di sabbia.
martedì 16 novembre 2010
L'essenziale è invisibile agli occhi
una parola buona. ecco cosa ci aspettiamo. una parola che squarci la coltre di nubi, che diradi la pioggia.
magari una menzogna, perchè le parole buone spesso mentono a se stesse.
una parola che già sappia di natale, buttata lì per caso, gratuitamente. perchè quel che è gratuito è ciò che conta.
a scuola ho due amici; uno si chiama rashidul e l'altro paolo.
paolo è un ragazzo down di quindici anni, poco più grande è rashi che quando ha saputo che non avevo passato il concorso si è illuminato come una lampadina per la felicità. ha capito che sarei stato per tutto l'anno scolastico nella sua classe.
paolo l'ho voluto conoscere io e ora quando ci incontriamo nei corridoi il "cinque" non manca mai.
loro sanno cos'è la gratuità e non hanno bisogno di leggere il capitolo XXI del Piccolo Principe per sapere che "l'essenziale è invisibile agli occhi".
ora piove a dirotto, io mi godo quest'ora di libertà e poi mi metto a correggere una quintalata di compiti. dirti che va bene mentirei, lo stesso se ti dicessi che va male.
va... nel tentativo sempreverde di mettere ordine nel mio guardaroba esistenziale.
quando ero più giovane non amavo la pioggia, oggi invece sì. idem dicasi per la foschia che aleggia bassa sulla città quando ci si sveglia. col passare degli anni mi piacciono sempre di più le cose e i momenti che mi ricordano per analogia quando il mio gatto faceva la pasta sulle mie gambe, prima di far le fusa acciambellato.
c'è pure una magnifica poesia di ungaretti: natale. va bene in queste giornate novembrine, in cui il grigio ha il sopravvento sui colori rugginosi del primo autunno.
ora la cerco in rete e faccio copia/incolla.
ciao ciao...
Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade
Ho tanta
stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata
Qui
non si sente
altro
che il caldo buono
Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare
Napoli, il 26 dicembre 1916
domenica 14 novembre 2010
acca
beh e ahimé condividono la stessa sorte: non si sa dove mettere l'acca.
l'acca ci è stato detto è una non lettera, un po' come il bianco è un non colore, in quanto li contiene tutti.
ahimé, avere i miei anziani genitori in casa non è una esperienza di vita, ma è una prova iniziatica.
i passi trascinati, la lentezza dei gesti, l'incipiente sordità, la memoria che scolora fatti, eventi, emozioni. la malattia, le malattie, le pillole, i pasti frugali, le idiosincrasie, le posture esistenziali errate, quelle corrette. i flussi affettivi colorati, la pienezza dell'essere, l'anima che esonda ricordi.
il cielo stellato della gioventù, il cielo brumoso della vecchiaia. sentir gli starnuti, sobbalzare per via della tosse, le urine, le feci, i pannoloni, i pannolini, le merendine, il colesterolo alto, la valvola mitralica, il defibrillatore, il prosciutto cotto e le mozzarelle.
insomma, la vecchiaia, anticamera della morte, sala d'aspetto affollata di ricordi, stanzetta degli ultimi giochi.
il mondo dei bambini e quello dei vecchi si danno la mano, in entrambi i casi cercano qualcosa. i primi cercano ciò che ancora non ha un nome, i secondi qualcosa di cui non ricordano più il nome.
in mezzo c'è la vita, e tutte le scommesse aperte, anzitutto quelle su noi stessi.
da tutto si può uscire: da un amore finito, da uno tribulato, da un affare sbagliato, da un'amicizia mal riposta, da un furto in casa, da un furto fatto in una casa.
si può anche decidere di non voler essere felici, o di non volere più faticare per esserlo. si può essere inautentici e/o guadagnare palmo dopo palmo la nostra tremolante autenticità.
si può persino raggiungere la consapevolezza cercando di non risolvere più le contraddizioni, ma di fotterle una per volta, nessuna esclusa.
as usual, aveva ragione woody allen in Harry a pezzi quando ha messo in bocca ad un morto redivivo che essere vivi è essere felici.
martedì 26 ottobre 2010
Tata Andrea
Da quando papà per forza di causa maggiore si è trasferito a casa mia non solo ho resettato la mia vita privata ma nel giro di una settimana mi sono trasformato in una verace Miss Doubtfire. Lavo, passo lo straccio, cucino, lo coccolo e lo rimpinzo.
Avvertenza: l'eredità la ricevetti anni or sono, ora lo faccio per spirito di servizio,perchè l'amore è gratuito.
Il vecchietto furbetto ora sta seduto sul divano con tanto di plaiddino sulle gambine e sta guardando "terra ribelle" di Cinzia Th Torrini. Sarà per via di quel Th o per via del fatto che invecchiando ci si rincoglionisce. A voi l'ardua sentenza.
Io non avrei visto "terra ribelle" nepppure se King Kong mi avesse fatto capire a chiare lettere che mi avrebbe sodomizzato. Piuttosto che piegarmi al berlusconismo dell'anima navigo in rete, quantomeno conservo l'idea di aver qualcosa da eccepire. Invece no, anche io come decine di milioni di altri utenti mi trastullo nella convinzione di essere padrone delle mie scelte, delle opinioni sul mondo. Tutte baggianate: in realtà non sono, nella sostanza, diverso da mio padre, perchè non ho possibilità alcuna di verificare le info che mi arrivano. E anche quando un'idea ti sembra originale è perchè pensando ci sembra di pensare il mondo per la prima volta, mentre lui da millenni escogita bugie vere e verità bugiarde da raccontarci !
Ma non di questo voglio parlare.
Semmai del terribile vecchietto che ascolta i film in cuffia, che lo devo pregare di mangiare e dopo mangia come un porcello, che gli faccio trovare gli asciugami a bordo della vasca perchè non sa ancora dove sono le cose, perchè, mica tanto in fondo, sono un patito dell'ordine che mi aiuta a sedare le mie nevrosi maniacali, le quali a loro volta nascondono la paura del vuoto (horror vacui), la paura della vita, la paura della felicità, la paura delle carie, la paura della paura, la paura degli sconosciuti con caramelle in allegato, la paura della burocrazia, la paura dell'alitosi, la paura delle alliterazioni (tipo la paura della radura, o la paura della pianura).
Al mio vecchietto voglio un sacco di bene. Senza la sua mogliettina per qualche settimana mi pare che incarni perfettamente la sindrome mondaini, ossia quella forma diffusa di unione osmotica che poco o nulla ha a che fare con l'amore ma molto col bisogno reciproco dell'altro. Ma poi cos'è, o meglio cosa rimane di tutto 'sto amore ? Il sesso raggrinzito e bitorzoluto di un uomo? Il sesso carvernoso e spelacchiato di una donna? A ottant'anni l'eros è avere il culo di alzare la carta del giorno dopo.
Il vecchietto tremendo ora si commuove, si incanta, confonde e mi suggerisce che la ruota gira e che l'ultimo dentino che si incastra nella ghiera del tempo è poco più grande del primo dentino che spunta al pupone che smerda nel pannolone.
Ha 82 anni il papi, ma ora per me è come ne avesse 8,2. Quando rompe gli zebedei invece ne dimostra 820 e ci mette dentro tutta la perizia accumulata nell'arco di quasi una decina di secoli.
Il cuore del mio papino si muove in sincrono e in canone con Cibele, la Grande Mamma, nella fattispecie la sua consorte.
A volte mi chiede cose banali, tipo il nome degli uccelli che solcano i nostri mari (i gabbiani, non gli veniva la parola!) e io mi domando chi sia quest'uomo che fino a qualche anno or sono faceva mettere sugli attenti il mondo. Ora si emoziona guardando delle cagate inenarrabili alla tele e sta zitto quando mi vede pensieroso e stanco.
Forse gli piace la Torrini perchè quel th prelude a the end. E i vecchi questo sentimento lo vivono ora dopo ora, giorno dopo giorno. Io sono solo stanco, mi manca l'aikido, mi manca il mio essere flaneur tra le parole dei libri, ma qui ed ora mi godo il mio vecchietto terribile.
domenica 17 ottobre 2010
IO SONO, IO FUI, IO SARO'
Giovedì, quinta ora, seconda superiore: mi tocca spiegare grammatica e proprio non ne ho voglia. Entro in classe e trovo il mio unico studente cinese intento a leggere avidamente il suo vocabolario italo-cinese, più o meno come un beduino alla fonte. Gli chiedo: "hai il libro di grammatica?" . Mi risponde che non l'ha e che se lo farà prestare da una sua compagna. "Aprilo", gli chiedo cortesemente. "Mi dici se in cinese esiste il congiuntivo?". A quanto pare esiste, ed esiste anche il nostro condizionale e tutti i tempi all'indicativo.
"Ti scoccerebbe andare alla lavagna e scrivermi io sono nella tua lingua?". E lui diligentemente esegue. fa lo stesso col passato e col futuro.
Sulla superficie levigata della lavagna si addensano i segni della sua lingua. Poi chiedo lo stesso ad una mia studentessa rumena, indi ad una studentessa lettone e a una polacca.
Sulla lavagna io sono, io sarò, io sono stato e io fui in tante lingue. anche in spagnolo e in inglese. Ho una studentessa nigeriana che non sa la sua lingua perchè la nonna le parlava in inglese, la lingua dei colonizzatori.
Io vorrei scrivere in quella di mio padre, l'albanese, quello arcaico che si parla nei paesini del nostro meridione, ma non so una parola. So solo dire te dua mire, che significa ti voglio bene. E non ricordo neppure il latino, ma non riesco a dimenticare: nemo propheta in patria.
Mi sono sentito come gli Illuministi del Settecento, un petit Voltaire di Cinisello Balsamo. Mi sono anche sentito straniero tra le pareti di casa. Mi sono sentito felice perchè ho visto il sorriso negli occhi dei miei ragazzi.
Una di queste, Jennifer con la J, alla fine della lezione, passandomi accanto come un battito d'ali mi ha detto sottovoce: Prof, oggi la sua lezione di grammatica mi è piaciuta un casino.
Per tutto il resto c'è Master Card!
martedì 5 ottobre 2010
Stanco
Stanco di muovermi in macchina facendo slalom tra imbecilli patentati.
Stanco di vedere sciamare nei corridoi adolescenti brufolosi, tutti uguali.
Stanco di tornare a casa con sei sacchi della spesa.
Stanco di essere stanco.
Stanco di svegliarmi già annoiato.
Stanco di non potermi mai annoiare.
Stanco del'infelicità.
Stanco di cercare la felicità.
Stanco di aspettare.
Stanco di fare e disfare.
Stanco delle mie paure.
Stanco delle mie certezze.
Stanco del sole quando brilla.
Stanco della pioggia quando scroscia.
Stanco del suono lacerante delle ambulanze.
Stanco di non ricordare ciò che vorrei fermare.
Stanco di ricordare ciò che vorrei lasciare andare.
Stanco del ridicolo variamente declinato.
Stanco dei sorrisi posticci.
Stanco di essere come lo scaldasonno beghelli.
Stanco di mostrarmi intelligente.
Stanco della mia distrazione.
Stanco dei soliti giri.
Stanco di aver capito tutto ciò che c'era da capire.
Stanco di essere troppo educato.
Stanco del cellulare.
Stanco di fare collezioni.
Stanco dei vecchi maglioni.
Stanco di non sentire palpitare la vita.
Stanco di sentirne il respiro affannato.
Stanco di far liste movimenti.
Stanco di non trovare qualcuno che mi convinca.
Stanco della solita musica.
Stanco di chi crede di essere originale, mentre è solo un cretino.
Stanco di differenziare i rifiuti per ricomprarli sotto forma di plastiche.
Stanco di ridere fuori tempo.
Stanco di ridere coperto e allineato.
Stanco di desiderare quel che non posso avere.
Stanco di non desiderare quel che potrei avere.
Stanco di questo post.
domenica 3 ottobre 2010
le lacrime
Le lacrime sono trasparenti, se ci intingi il pennino non scrivi nulla.
Le lacrime sono salate, dovresti piangere a fiotti e trovare il sistema di conservarle per poi ricavarne sale e condirci la pasta.
Le lacrime rovinano il trucco, o striano gli occhiali, perciò sono poco eleganti.
Le lacrime miste ai singulti fanno perdere l'aplomb. Meglio quelle silenti, perchè un pianto d.o.c. non dà mai nell'occhio.
Il pianto più bello nella storia del cinema: glenn close che piange sotto la doccia la perdita del suo più caro amico, in "The big chill".
Il pianto catartico che vorrei fare: quando un mio romanzo sarà pubblicato da einaudi.
Il pianto inestirpabile: quello del bambino e del vecchio che ti porti dentro.
Se piangi mentre guidi, la strada sfuoca. Se piangi nell'attesa, di solito nessuno ti vede.
Se piangi alla fine forse è fatica sprecata. Se piangi all'inizio di certo hai paura.
Se pensi che piangere sia poco virile, quando piangerai le tue lacrime inonderanno il mondo.
Se pensi che piangere faccia star bene è quasi certo che tu non sappia cos'è il bene.
Non piangere mai davanti al tuo fiscalista, davanti alla custode del tuo stabile. Non piangere mai in un negozio di ferramenta perchè è pieno di uomini come te.
Non piangere mai su te stesso, ma sempre dentro te stesso, a volte certe preposizioni fanno la differenza.
Piangi pure davanti allo specchio, lui ti dirà se reciti o se è vero dolore.
Piangi pure davanti ad una fetta di Sacher, il miglior condimento sono le lacrimucce calde.
Se non piangi da un sacco di tempo, mettiti o fatti mettere un dito nell'occhio.
Se non piangi da ieri, non cercare altre scuse per piangere. In certi giorni è addirittura possibile sorridere.
Se ridi e piangi al contempo, scrivimi o telefonami: voglio vedere il volto di un uomo saggio.
sabato 25 settembre 2010
tengo famiglia
ricordo anni fa d'aver letto un romanzo di andrea de carlo, "uto", in cui i meccanismi che regolano i rapporti familiari vengono paragonati agli ingranaggi di un frigorifero, ossia caldo per dare freddo.
oggi gita in macchina ad alassio per trovare i miei.
una doverosa premessa va fatta: forse sono troppo attento alle dinamiche, le sento come il pennino di un sismografo le scosse telluriche, però è anche vero che costringere all'omertà il cervello in certi casi è impossibile.
l'insofferenza scoreggia nell'aria, opposte visioni del mondo girano il remake dell'iceberg e del titanic, idiosincrasie festeggiano le loro sagre con polenta e salamella, processioni di nevrosi agitano i moccoli implorando San Sigmund.
risultato: mi sono immaginato in "chi l'ha visto?".
congetture, supposizioni che si accavallano, testimonianze di conoscenti che dicono con voce rotta da recitata emozione: "ce l'aspettavamo, negli ultimi tempi sembrava così strano..."
e poi la mamma: "bambino mio, ritorna, la mamma ti prepara la pasta al forno!". già, il problema è che mia mamma non ricorda più come si fa la pasta al forno.
e la sorella: "torna, dai, hai fatto l'analisi grammaticale, quella logica, ora devi finire quella del periodo".
dulcis in fundo, il papà: "torna, figlio mio, torna. devi passare in edicola a ritirarmi i dvd sul calcio che ho ordinato"
e poi la custode: "avevo sempre supposto fosse un mezzo cafone, ora lo so: è sparito senza neppure dirmi buongiorno."
e i colleghi: "ovunque tu sia ricorda: il primo trimestre prevede max due verifiche orali e due scritte. il pentamestre, tre e tre. spediscile all'address email del ns istituto: info@istitutocaccapupù.it".
e poi il mio caro maestro: "torna, doshu, devi fare l'esame del primo kyu. almeno, stai provando menuchi katadori?"
e la voce del mio fraterno amico: "torna, dobbiamo finire di ridere sul mondo."
e poi la voce del mio mentore: "torna, dai, dobbiamo capire dove cacchio vanno 'ste orme che conducono al nulla eterno".
ma sì che torno! anzi, a ben vedere, devo ancora sparire...
venerdì 24 settembre 2010
sorry
sorry, non ho niente da dire e non mi sento neppure in obbligo verso me stesso o chichessia di dire qualcosa di intelligente o di simpatico. anzi non mi sento neppure intelligente e tantomeno simpatico.
magari sto zitto, anzi sì, sto zitto e mi godo il silenzio che esala dalle macerie fumanti, o il rumorino impercettibile del battito d'ali di una farfalla.
mi arrogo il diritto di non avere nulla da dire.
altresì voglio aggiungere che a volte è persino bello non avere nulla di dire perchè quando stai zitto senti meglio le voci che provengono dal mondo.
solo il mondo non sta mai zitto, ma io posso tacere e questo mi piace.
in effetti ora non sto tacendo ma scrivendo del tacere, che è quasi un parlare, ma sottovoce, con un filo di voce.
nello spazio/tempo mentale concesso a chi non ha niente da dire non crescono neppure i fiori più comuni, crescono le erbacce, quelle medicamentose. il cielo di chi non ha niente da dire è privo di nuvole e il vento non tira. è un cielo immoto, sedato dal silenzio che lo ovatta e lo fa risplendere.
la terra di chi non ha niente da dire è brulla, ma non aspetta il miracolo della pioggia. si contenta della sua "brullitudine" e per scacciare la noia ridacchia.
a volte non avere nulla da dire è bellissimo. è come portarsi a casa una libreria ma non avere libri.
non avere nulla da dire significa non rivolgere la parola neppure ai nostri dolori, significa sbattere la porta in faccia alla gioia.
stare fermi per qualche istante, misurabile in una manciata di secondi, inspirare ed espirare per poi tornare a calcare qualche sentiero nuovo o usato, in mezzo alla fronde irrorate dalla luce romantica di questo inizio autunno.
sabato 18 settembre 2010
A cosa serve studiare storia?
questa domanda mi è stata posta da una mia classe terza di un istituto professionale.
la storia ci insegna non solo a "non commettere gli errori commessi in passato", diceria peraltro smentita dalla storia stessa nell'arco di qualche millennio, ma soprattutto ci permette di capire che passato, presente e futuro sono indissolubilmente legati.
ne beneficia il presente al quale lo studio degli eventi e delle culture restituisce i volumi e le rotondità, le zone d'ombra, la cui percezione manca a chi vive la vita appiattito sul qui ed ora.
il nostro presente è questa cosa qui, non più spesso di un foglio di carta bianca.
per vivere questo genere di presente l'unica soluzione praticabile è annichilirsi, perdersi nel bianco del foglio, lasciarsi guidare unicamente dal principio del piacere, dalla bulimia consumistica che ci divora.
invece la storia, anzi lo studio della storia, anzi...la lettura di un buon libro, anzi..l'ascolto di buona musica ci ricordano che la nostra vita per essere consapevole di sè ha bisogno di restituire profondità al presente, di nutrirlo.
quando sei stanco ti schianti sul divano, questo è lecito, ma niente e nessuno ti vieta di leggere un buon libro, di andare a teatro, di invitare a casa qualche amico vero col quale non solo respingere la noia con chiacchiere trite, ma con discorsi che consentono di fare speleologia nell'esistenza dell'altro.
invece, che fatica... l'altro in fondo è come il libretto istruzioni del tuo cell : meglio la guida quick and play, per un uso immediato, veloce, non procrastinabile.
perchè devo leggere? leggere è faticoso, è una grande rottura, i libri certe volte sembrano il mare dello stretto messinese, agitati da opposte correnti, a volte insondabili, inquietanti come l'acqua profonda illuminata dal disco lunare.
meglio i cesaroni, meglio don matteo, lasciando di sottofondo un presente che oltre ad esser piatto è anche scomodo, volgare, indigeribile.
perciò, insomma, studiare storia non serve. non disancora dal divano, non spezza catene, non insegna al servo e allo schiavo la lotta contro quel potere che li narcotizza, che li schianta sui divanetti dei centri commerciali, con l'occhio vitreo e il carrello ricolmo di ogni ben di dio merceologicamente catalogato.
ho risposto che studiare storia non serve a un bel niente, ma in fondo non serve neppure far l'amore e mille altre cose che facciamo pur sapendo che non ci renderanno nè più felici, nè tantomeno migliori.
serve mangiare, coprirsi le pubenda, bere sì ma con moderazione, dormire. non pensiate che noi si faccia molto di più.
non passa giorno, anzi non passa spot pubblicitario ! che non ci ricordi quanto bello sia essere liberi, ma la libertà, quella vera, che io sappia passa solo attraverso la consapevolezza, attraverso lo studio della realtà, attraverso il "ti esti" dei greci.
"che cos'è'", "come funziona" aggiungerei... come funziona la realtà in cui vivo?
insomma, dai, il mondo si divide in chi legge più o meno correttamente le ore sul quadrante e in chi non si accontenta e fa di tutto per aprire la cassa e seguire con attenzione, rigore, passione, le rotelline che si incastrano l'una nell'altra.
alcuni addirittura hanno anche smontato quell'orologio e disposto con un certo metodo le rotelline per meglio capirle. questi signori si sono affacciati sul nulla arricchendolo col senso e con la portata del loro pensiero. costoro hanno il diritto di proclamarsi nichilisti, se lo sono guadagnato sul campo. mi spiace per chi invece il nulla lo abita come unico incipit e oltre non va, non si muove, perchè è troppo faticoso.
ricordo en passant che assai probabilmente nella casa del signor vanzina non si trovano i film panettone del signor vanzina, ma wim wenders, antonioni e fellini.
il signor vanzina non legge moccia, ma proust, dostoevskj. non ascolta gli zero assoluto ma la sinfonia jupiter di mozart o kind of blue di miles davis.
gli zero assoluto li ascoltano gli "zero assoluto".
sabato 11 settembre 2010
Troppa grazia
Sentire che il cuore ha fatto il pieno. La pelle liscia come una pesca. La pesca liscia come la pelle. Una grossa fragola. Un sorriso su un vagone della metropolitana. Mantenere il corpo adeso al tuo uke quando fai tenkan. Un foglio bianco. Le vocali. Le lenzuola pulite. Una doccia calda quando fuori fa freddo. Le mani di una donna. L’incavo dei reni. La peluria sulle palline da tennis. Un vaso Barovier Toso. La mela bianca. La prima mela. Un cannoncino alla crema. La schiuma del cappuccino. I cuscini imbottiti di piuma. Le galassie viste con Hubble. Hubble visto dalle galassie. Un sorriso sdentato. I batuffoli di cotone. Il rosso Bordeaux. Harry a pezzi di Woody Allen. Le terzine incatenate dantesche. Jackson Pollock. Lo sguardo immenso della Madonna Sistina di Raffaello. La scrittura pastello di Marai. La vita che ti scrive, ma tu hai cambiato indirizzo. I Ray Ban a goccia. Una goccia lunga la schiena. Il sapore dell’amore. I vetri appannati in treno. Il sole malato di Novembre. I voli geometrici delle rondini. Il sesso molle. I primi trenta secondi di where the streets have no name. Il capo chino di Bill Evans sul piano. Le volute di fumo. Il giorno dello stipendio. La febbre alta che scioglie le membra. La voce profonda di Van. La voce acuta di Pan. Ermes che ruba le vacche ad Apollo. Le statue dei profeti sul portale della chiesa di Moissac. I colori quando escono dai tubetti. Le labbra. La luce negli occhi. Goemon e Fujiko. Il deposito di Zio Paperone. La solitudine di Silver Surfer. La Ducati Monster, rossa. Le ciliegie di Vignola. I cappelli di Borsalino. La Moleskine. Le matite punta 0,5. Pochi amici veri. La pasta al forno. Le mani in tasca. La sabbia sotto i piedi quando smette di piovere. I gettoni telefonici. Gli sms. La parabola di Sky. Le lavagne e i gessetti. Il seno. Il coseno. Il tatami. La neve sulla lingua. Le sagre paesane. Le surfinie sui balconi delle case di montagna. Non saper tenere il ritmo. La secchezza della fauci. Il fumo fa male alla pelle. L’acqua fresca. Wiligelmo a Modena. I formaggi francesi. Gli abbecedari e i pallottolieri. Villemot. Gli smalti scuri. L’odore delle calle veneziane. Le briciole e i passerotti. I baci perugina e i pocket coffee. I coriandoli. I come e i perché. I divani in velluto. Le macchinine dei pompieri. Il fuoco nel camino. Un’anima camino.
Continua tu.
sabato 31 luglio 2010
toccare il bordo
finalmente si parte, e poterlo dire in piena recessione si è già tra i fortunati.
quattordici giorni nel tentativo disperato di resettare la stanchezza di un anno.
bilancino? ma sì, vada per il bilancino!
oro e merda, come sempre, su ogni fronte. ma anche tanta consapevolezza in più, tanti libri letti, tanti ikkio, nikkio e sotokaiten nage. tanti sorrisi e tanti incontri. nuova scuola, un saggio in fermento.
ma anche tanta fatica, tanti "stai fermo un giro in prigione" come nel monopoli, tante rabbie inevase, tante cose pensate e molte non dette.
insomma, la vita, o quantomeno ciò che mi barbaglia in superficie e quel che m'agita in profondità.
oggi mi sento come uno che sta per toccare il bordo vasca di una piscina olimpionica. le vasche fatte: ho perso il conto, la fatica nei muscoli è grande, in certe ore insostenibile.
eppure, eppure sento che qualcosa si muove e io so cosa.
è lì, la vedo. è la mia verità, proprio quel che voglio e che camuffo, che sfuoco, che ci giro attorno.
ci sono uomini d'amore e uomini di libertà. forse io appartengo di più ai secondi, anche se la mia libertà getta le radici proprio nel riconoscimento dell'altro, in quanto altro da sè. ergo, immagino, suppongo, spero, ritengo sia amore, addirittura quello più alto, che mentre libera serve, che mentre serve libera.
a presto, a ferragosto o giù di lì.
un bacino ai miei lettori, un bacetto a me.
andrea
martedì 20 luglio 2010
"enso" dunque sono
Chi tra di noi non ha "un progetto" ? Una sorta di carta millimetrata all'interno della quale pazientemente incasellare ambizioni, traguardi, scelte massime e decisioni minime.
Eppure spesso non si arriva a meta, i traguardi ci sfuggono, le mire si traducono in altro. Come se qualcuno o qualcosa ci pilotasse in un altrove che proprio non era previsto.
Talvolta ho l'impressione che molti (me compreso nel prezzo) non s'accorgano di far parte di un disegno più vasto .
Nulla a che fare con l'aldilà: il disegno esige fedeltà alla terra, per dirla con Nietsche,e sta tutto qui, in questo segmento spazio temporale che occupiamo per qualche decennio. L'impressione è la stessa che si prova quando si sa di non aver diligentemente assolto un compito, di aver furbescamente saltato qualche pagina, di aver interrotto un cammino intrapreso e poi abortito da necessità inderogabili o compromesso dalla nostra ignavia e/o accidia.
Spesso il disegno sta di fronte ai nostri occhi e sarà per via del fatto che è troppo vicino che finisce col costringerci a spostare lo sguardo su altri fuochi.
A guidare il disegno è il nostro daimon, quella vocina alla quale spesso il nostro super io fa lo sgambetto.
Spesso osservo con attenzione le vite altrui e mi dico ciò che gli altri si dicono quando osservano la mia: ma come fa a non accorgersi che potrebbe essere felice se solo facesse, dicesse, ecc.
Ieri sera ho mangiato un panino con Aureliano e Kayoko. Ho ascoltato con interesse le riflessioni di Aureliano, i suoi discorsi e l'emozione che mi ha passato ora li ho tradotti in questo post.
Per dire felicità bisogna comprare tutte le vocali , perchè non ne basta mai solo una.
venerdì 16 luglio 2010
la vita è merdavigliosa... (post paratattico)
Oggi :-) una botta di eros : agenzia delle entrate in via bistolfi,5.
Prendo la macchina intorno ale 9.00, fa già caldo, imbuco la tangenziale est e mi trovo davanti un muro di camions (con la s del plurale, perchè ce ne erano tantissimi). Esco in rubattino, ma chi era sto rubattino, un amico di craxi? e cerco via bistolfi che sta dalle parti di trentacoste.
Sono nella terra di nessuno, where the strets have no name. Trovo l'indicazione e posteggio al sole. I numerini li hanno distribuiti tutti intorno alle 8 e ora io sono fuori lista ma non desisto. Attendo dalle 9,30 circa alle 13,40e provo tutte le emozioni che è dato provare nel corso di una vita: attesa virile e consapevole, attesa indifferente, attesa insofferente, quieta rassegnazione, turbata rassegnazione, rabbia, rabbia funesta striata di propositi omicida. All'una saltano i terminali, quando arrivo davanti all'impiegato mi scuso prima con teresa d'avila con la quale stavo chattando da un quarto d'ora ostaggio del mio delirio. Mi stava spiegando come fare per ottenere le stigmate o quantomeno un paio di ali malandate, e mi sembrava un discorso interessante. L'impiegato mi dice che sta chiudendo, lo guardo like a merdaccia, ma anche come una specie di illuminato guru al quale chiedere che senso ha la vita.
Mi visiona le carte e mi comunica che dovrò ritirare l'atto vidimato a partire da lunedì 19. Mi giro per chiedere forza a Santa Teresa ma non c'è più: ha strisciato il badge ed è in pausa pranzo anche lei. Mi rigiro verso l'impiegato, quasi quasi gli faccio un kiritzuke con la mia lingua katana, poi lascio perdere, mi fa pena anche lui.
Esco: il caldo si avvicina ai 40°, entro il macchina, accendo il quadro che segna 43°: ho un mancamento, ma non in tutto il corpo, solo le palle che slittano e s'arrestano all'altezza dello stinco. Attraverso la città col sole allo zenith.
Arrivo in trattoria alle 14.00. Mi siedo al tavolo e ordino linguine al pesto, tanto per rimanere leggerino. Mi guardo intorno e c'è un signore che somiglia un casino all'angelo Clarence del film di Frank Capra del 1946.
Ha i capelli bianchi come la neve e un sorriso benevolo. Forse Dio esiste, per certo
dirige l'agenzia delle entrate di via bistolfi.
mercoledì 14 luglio 2010
la lingua più affilata del mondo
ma sì, va, lo dico! che ho la lingua più affilata di una katana, ma che uso come fosse un coltellino sbuccia mele.
perchè lo faccio? per il semplice fatto che in quasi cinque decenni di vita ho coltivato la benevolenza nei confronti di chi amo o solo frequento. rare volte e con pochissime persone mi è capitato di usare la mia dialettica fino in fondo. rimango sempre affascinato dal racconto che l'altro fa di se stesso e/o del sottoscritto, anche quando non risponde al vero, o a malapena vi si avvicina.
c'è sempre qualcosa che mi intriga nel sentirmi detto e nel sentire l'altro che si dice. forse è proprio il racconto, perchè ogni racconto è una specie di camino accesso nella camera più accogliente della nostra anima.
sto ad ascoltare: mi piace, amo da morire ascoltare. mi piace rubacchiare frasi, spunti, riflessioni che mi paiono inedite. mi piace nutrirmi della diversa sensibilità e non mi sento mai deprivato, mai scalzato.
è come se alla mia tavola un posto fosse sempre vuoto e andasse colmato col racconto delle vite altrui.
ritrovo questa gioia nel costruire trame, nell'immaginare la vita altrui come se fosse la mia e nel trattare la mia come fosse quella di un altro. così sono costretto a cercare nuovi baricentri esistenziali, ad immaginarmi a spasso in una vita che con la mia poco o nulla ha a che fare.
per questo taccio e assai di rado faccio notare all'altro lacune e ombre. perchè mi piacciono anche quelle e trovo siano sacre proprio come le parti che invece vanno bene, quelle che pensiamo siano accettabili.
se dovessi scegliere la damigella d'onore del silenzio, sceglierei il racconto delle nostre vite. mi sembrerebbe una scelta ok, davvero ineccepibile.
ogni racconto pesca lì, in quel pozzo senza fine che chiamiamo silenzio. le parole sono secchi di acqua issati in superficie e sempre più spesso mi pare vogliano tornare proprio lì. dove il nero rende tutto indistinto, dove ogni rumore si spegne e da dove tutto parte per nutrirsi della luce dei giorni.
sabato 3 luglio 2010
I miei libri
Col passare degli anni il numero dei libri che posseggo è aumentato. Vivessi in un monolocale non saprei dove metterli. Parecchi finirebbero in cantina o solaio e di notte mi dovrei tappare le orecchie per non sentirli mugolare, lamentarsi.
Perchè i libri hanno una voce, antica e attuale, forte e bassissima.
A volte li passo in rassegna come un generale stanco: vorrei conoscerli tutti, nome e cognome, sapere da dove vengono, ricordarmi le loro storie individuali. Molti li ho conosciuti e tra costoro della maggior parte ho dimenticato "chi fuor li maggior tuoi?". Parecchi, un buon 50%, ancora devo conoscerli, addentrarmi nelle loro pagine, seguire rigo per rigo la loro storia.
Quando ero più giovane speravo di trovarvi tesori, pagliuzze d'oro; ora scambio con loro, un baratto fitto, che avviene nel silenzio delle pareti domestiche, nelle aule scolastiche, nei giardini che danno ombra e pace.
Nei miei libri ho trovato sparsi pezzi di me, proprio come se Dioniso dovesse mettere insieme le sue membra sbranate dalle Menadi.
In fondo so cosa sto cercando: fuori di me cerco il mio più autentico "me" e dentro di me cerco ciò che fuori non trovo.
Vorrei sapere leggere velocemente e allora divorerei centinaia di libri, proprio come un lampo mi arresterei solo sulle parti in cui trovo scritto qualcosa che non so, che non ho ancora capito.
A volte, infatti, capita di annoiarmi, di leggere in fondo sempre le stesse identiche cose, che ho da tempo metabolizzato.
Vorrei leggere tutto e sapere tutto, vorrei ricordare tutto e scrivere infine il più bel libro del mondo: un libro nel quale mettere stralci di dante, di carver, di canetti, della woolf e di conan doyle che leggevo quaindicenne, e poi pezzi di marai, di calvino per il suo cuore geometrico, la durezza di levi, il luame di meneghello e la lista è tanto numerosa che desisto.
Ne uscirebbe un libercolo smilzo, qualche decina di pagine, non di più. E in queste pagine ci sarebbe stipata dentro la magia del libro-mondo e del mondo-libro.
I miei libri sono la coperta che mi tiro sulle gambe quando fuori apparecchia l'inverno, i miei libri sono l'ultimo cucchiaino di nutella che spalmo su una fetta troppo grande. Alcuni li ho anche detestati, altri mi sono sembrati buffi, ma ho dialogato con tutti loro, nessuno escluso.
Solo chi legge sa cosa vuol dire concludere una storia, arrivare alla fine: solo chi legge sa cosa si prova ad iniziarla, a sentire che le pagine ancora sono adese, quasi appiccicate, che la carta ha un suo odore prelibato, che la copertina è come un viso di una persona che incontriamo sui mezzi pubblici e alla quale vorremmo chiedere: dai, raccontami la tua storia, fammici entrare.
Il mio libro più bello lo devo ancora leggere. In tutta sincerità vorrei scriverlo io, per dopo rileggerlo e sentire che la mia identità si sfarina sui fogli per ricomporsi nella mia anima, per sentire che quei fogli contengono le mie parti più vere, che sono quelle in cui io sto defilato, in una angolo, acquattato dietro un mio personaggio.
Vorrei essere lo scricchiolio della sua scarpa che si trascina sul linoleum, vorrei essere la voluta di fumo che sprigiona la sua sigaretta. Vorrei coriandolizzarmi in tutti i miei personaggi, nei luoghi che attraversano, nelle vicende che vivono.
Dovessi sceglierne uno, solo un libro da portare sopra un'isola deserta, credo potrebbe essere Dante. Ma poi rimpiangerei d'aver lasciato a casa Omero e Pinocchio, di aver tradito Sharazad, di aver tirato un pacco a quel tira e molla di Zeno Cosini, di aver chiuso quel portone lasciato aperto affinché Montale potesse scrivere i Limoni. Di non aver portato con me le poesie della Szymborska o di Antonia Pozzi o i fantastici giochi linguistici di Benni o del padre della Maraini, Fosco.
I miei libri sono anche lacrime, perché nelle vite dei personaggi incontrati non solo rivedo la vita che ho vissuto ma quella che avrei voluto vivere, avrei desiderato vivere.
I libri sono solo carta, servono per tenere aperte le porte, per fare una pila ed issarsi, per farne aeroplanini o bussolotti.
I libri non sono sacri, sacro è l'uomo che li scrive e quello che li legge.
I libri sono dei magnifici direttori di orchestra: dirigono i nostri strumenti interiori e ci dicono se siamo dei primi violini o dei suonatori di terza fila.
Le vocali servono alle consonanti per uscire dal caos e dare origine alle parole.
Tutti noi dentro abbiamo delle vocali: i libri fanno eco alle nostre vocali.
Cuore ad esempio ne ha dentro tre. Vita solo due, ma tanto basta.
lunedì 21 giugno 2010
rowenta, per chi non si accontenta
ora sull'avambraccio destro porto un buffo tattoo rosso : l'impronta del mio ferro da stiro rowenta.
nel tentativo di fermarne la caduta dall'asse, l'ho trattenuto istintivamente col braccio, et voila...in men che non si dica sono entrato nela top degli stupidi. così, mi sono fermato. è d'uopo fermarsi quando tutto intorno sprizza e spruzza merda, e mi sono detto che l'ustione conteneva un messaggio subliminale. non bianca e bernie che trombano, ma che queste cose succedono solo a chi non si accontenta, proprio come vuole l'head line della rowenta.
e di cosa non mi contento, cosa detesto con tutto me stesso?
odio le bugie, anzitutto quelle che mi racconto e poi, in seconda battuta, quelle che dico agli altri.
non sono bugie vere e proprie. sono gesti, atti e pensieri che non desidero fare, eppure ci casco puntualmente dentro, proprio come tutti voi.
perchè?
ma sì, dai, il perchè è semplice: anzi ce ne sono due.
il primo è chè si vuol piacere agli altri; il secondo è chè abbiamo una immagine buona di noi stessi che spesso non collima con ciò che veramente siamo e vogliamo.
quest'anno però, per davvero, me ne sono successe di tutti i colori.
oggi, ad esempio, ho saputo di essere perdente posto a scuola e perciò ho dovuto fare domanda di trasferimento.
tutta per colpa dell'ex d.s. che con i suoi raggiri, veri o presunti, ha fatto perdere al nostro istituto tantissime iscrizioni.
e poi altre faccende vitali che qui non voglio raccontare ma che mi disossano dentro. per colpa della assurda rigidità di certe persone, questa è in sintesi la (mia) verità.
che ne sarà di me?
nulla, non succede proprio nulla.
l'universo continua imperterrito a fagocitare azoto, anidride carbonica, ossigeno, emilio fede a dirigere il tg4, mio padre ad acquistare dvd taroccati dai marocchini, io a leggere deridda senza capirci nulla, il piccolo principe a chiedere all'aviatore di disegnargli una pecora.
il solito "trans-trans" cosmico, insomma.
le "cose" che contano sono altre. ad esempio star bene, agitare il pene prima del buso, e avere qualche sghello.
per stare bene sto bene, soldi..vedi alla voce "stendere un velo pietoso".
sex: meglio farlo che parlarne.
au revoir les infants
a.
mercoledì 9 giugno 2010
fango, diamanti e aikido
spesso si crede di entrare in rapporto con gli altri usando esclusivamente la nostra parte migliore, quella, per così dire, in luce. siamo affabili, cortesi, disponibili, talvolta magnanimi, di rado generosi.
siamo eticamente corretti, loquaci e muti, belli, radiosi, e così via...la lista è pressocché infinita.
siamo, insomma, figli di apollo: l'armonia ci governa, e il senso della misura ci guida.
quanto di tutto questo è in realtà covato alla e nella luce?
credo assai di meno di quanto si pensi. spesso sono le ombre a muoverci, è Ade, il dio degli inferi.
di solito, ch'io sappia, questa parte ci è ignota e/o volutamente la si ignora. è una provincia dell'anima che ha a che fare con ciò che ctonio, terragno.
dietro un sorriso spesso si cela altro, dietro il consiglio, alle spalle della cortesia ostentata altro ancora.
spesso ho incontrato persone aperte, gentili e disponibili a cui interessava piuttosto mostrarsi tali che partecipare veramente, fondamentalmente alla vita dell'altro.
io stesso spesso lo faccio: a volte proprio non riesco a resistere ale lusinghe che il mio narciso mi srotola ai piedi a mo' di tappetto rosso.
e dietro le crepe che il mio narciso divarica scorgo solo tanta solitudine, un individuo malfermo sulle gambe, una società che non tutelando il senso di appartenenza a qualcosa di genuino e di caldo (come un buon bicchiere di rosso da condividere) lascia l'individuo rinchiuso nelle costosissime scatole di cemento armato, in preda ad un ego ipertrofico che non lascia scampo all'altro, che se lo divora per calmare la fame di conferme che nessuno, proprio nessuno gli dà e che, alla fine, cerca in quel che vi è di succedaneo ai rapporti umani.
ad esempio la bulimia consumistica, ad esempio l'indifferenza che è l'anoressia dell'anima.
nel mio piccolo faccio parte di un gruppo, l'unico al quale mi sento di aderire e nel quale mi riconosco. il mio dojo, la palestra che frequento per imparare aikido.
niente a che vedere con le mie passioni preminenti: scrittura e lettura, ma che, a differenza di queste, mi lascia meno in balia alle tentazione di riparare narcisisticamente altre mancanze.
so bene che non cambierò il mondo e forse neppure me stesso facendo un buon kotegaeshi, ma è certo che sentirò il caldo rassicurante che sprigiona il pronome NOI.
altrove proprio non lo sento e spesso mi pare di esser circondato da gente che pensa di parlarti col cuore in mano mentre invece riesce a stento a celare la merda interiore.
il vero problema non è sapere di avere dentro un impasto di fango e diamanti, ma tentare di tenerli separati.
mercoledì 26 maggio 2010
van the man
la mia anima ha la stessa voce che ha van morrison. nella sua musica mi perdo ritrovandomi e pochi sono i colori che lascia fuori.
sul mio braccio destro, con la cui mano scrivo, ho fatto tatuare un verso di una sua canzone che recita testualmente: with a sense of everlasting life. a mio modesto giudizio si riferisce alla giovinezza, l'epoca della vita in cui ti sembra che il tempo sia interminabile e che tu sia infinito, proprio come i tuoi pensieri che esplorano i confini del tuo mondo interiore.
ora, per me, everlasting life significa sentire che il tempo fugge, che questa mia età è quella in cui penetri fino in fondo quella parola meravigliosa coniata dai romantici tedeschi per dire nostalgia di quel che non si è mai avuto e che forse non si avrà mai. qualcosa a cui non si può dar nome e che è tutt'uno con lo streben nach, col tendere verso.
la musica di van mi permette di ripercorrere i meandri di quel che ho avuto e di quel che so di volere, mi dice chi sono e mi parla con quella voce di padre buono che per la verità nella mia vita mi è mancato. un padre che giocasse con me, che mi chiedesse delle mie passioni e delle mie paure. ho avuto altro, questo no.
anyway, ora sono qui con l'orecchio appoggiato ad auscultare il mio cuore ermetico.
venerdì 21 maggio 2010
like woody
molti sono i temi che attraversano la pluridecennale cinematografia di woody allen: la giustizia puntualmente tradita, il caso che mischia le carte, l'inutilità della vita, l'utilità dell'attimo fuggente, il riso che increspa la superficie dell'anima, le donne che sono il sogno di adamo, cioè il nostro paradiso alto circa 1,60 m.
e poi l'arte che trasforma la nostra merda in oro.
più vado avanti più mi sembra fratello mio.
non ci illumina di immenso ma ci illumina con le sue ombre: qui riposa la saggezza, quello sguardo benevolo che rivolgiamo agli altri e alla vita ben sapendo che poco cambia e cambierà, che poco ha senso, ma a quel poco pervicamente si sta aggrappati, come ad una bava di luce.
sabato 8 maggio 2010
do - shu
do è la via, shu è chi la conduce. il fratellino che mi ha affibbiato questo alias mi ha letto dentro. niente di più vero per un gemelli che ama conoscere strade nuove, che ama aprirne in solitudine e talvolta accompagnato.
ermes da erma, cumulo di pietre atte a segnare bivi, biforcazioni, spesso sormontate da un un bastone. ermes è un dio itifallico. su ermes le pagine più belle lette sono contenute in un libro di pietro citati che si intitola "la mente colorata", dedicato al viaggio di Ulisse.
non dico altro, non voglio dire altro.
venerdì 7 maggio 2010
i visi delle persone
i visi delle persone che osservo per le strade sono come una pagina sulla quale qualcuno ha abbondantemente usato la scolorina e devi capire tra una frase tronca e l'altra il senso delle parole rimaste.
le persone incontrano il mio viso per la prima volta : le invidio.
anche io vorrei in certi giorni vedermi come se non mi fossi mai visto.
ciò che è usato non si vede più e questo è per davvero uno dei pochi peccati veri che mi imputo. gli altri li lascio agli stolti, ai "cercapensilina" quando fuori piove.
e, si sa, piove sempre...
mercoledì 5 maggio 2010
nuvolacce
piove.
piovono goccioloni. le nuvole sono gravide d'acqua e il cielo sembra una lastra di marmo grigia e nera.
piove e gli uccelli affrettano il volo, stanno gli uni accanto agli altri, neppure le loro geometrie sono quelle solite. la velocità le rende scomposte, ma non per questo perdono il loro fascino.
chissà cosa scrivono sul cielo. le loro acrobazie sono punti e linee di un alfabeto morse che non ci è dato comprendere.
sono amici delle nuvole, condividono lo stesso spazio azzurro.
le nuvole però... o ce le hai dentro o proprio non puoi capire.
se vuoi capire puoi ascoltare l'omonimo brano di de andre', oppure affacciarti alla finestra e immaginare per ognuna una somiglianza.
più semplicemente puoi osservarle avvicendarsi, mischiarsi, pogare l'una sull'altra.
il signor vento le attraversa e le agita, il signor vento che scoperchia i nostri ombrelli, arruffa i capelli, agita le vesti.
le nuvole siamo noi, nessuno escluso. per dirla alla quasimodo: atraversate da un raggio di sole...
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